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Editoriale

5/7/2004

SECONDO OTTO

di Livio D'Alessandro

La Grecia è campione d'Europa

Il 4 luglio del 2004 sarà ricordato senz’altro come il giorno in cui si è consumato il più sorprendente risultato della storia del calcio. La Grecia è campione d’Europa. Fosse di basket, nessuno si stupirebbe. Ma a pallone i greci non avevano mai dimostrato di saperci giocare. E infatti non si fa altro che ripetere che è stata la vittoria del gruppo, del collettivo, della tattica, dell’allenatore. Non a caso si fa fatica a trovare la star della squadra. Tutti hanno contribuito alla causa comune senza isterie, senza esultanze sproporzionate, senza divismi gratuiti. La Grecia (e in questo Otto Rehhagel soprattutto), infligge uno schiaffo morale a tutte le nazionali che pur potendo schierare i grandi nomi del calcio mondiale hanno abbandonato il torneo da giorni e giorni. Sarà solo una favola? Probabilmente si, una di quelle irripetibili. Ma senz’altro è anche una lezione. Di calcio innanzitutto. Il difensivismo schifato a priori dai grandi teorici del calcio moderno, torna in auge in maniera dirompente dimostrando che è ancora vincente, come prima più di prima. E spiega una volta per tutte che non sono né la tattica a priori nè il tipo di gioco a portare alla vittoria bensì la capacità di sapere applicare la tattica giusta ai giocatori che si hanno a disposizione. Se Rehhagel avesse optato per uno schieramento d’attacco dando spazio alle punte e ai fantasisti, sarebbe uscito al primo turno. Ma il tecnico tedesco ha umilmente messo i propri giocatori nelle condizioni di dare il massimo per le caratteristiche difensive che li contraddistinguono. Da questi presupposti nascono i tre 1-0 consecutivi contro Francia, Repubblica ceca e Portogallo che hanno proiettato la Grecia nella storia del calcio. Tre gol fotocopia (soprattutto gli ultimi due): ripartenza, cross dalla destra e incornata vincente. Il resto del match a rompere il gioco, a difendere in 8 o in 9, a rilanciare l’azione. Sistema ideale per chi schiera una difesa solida, rapidi cursori di fascia e modesti attaccanti.
Il Portogallo ieri sera non ha potuto nulla contro questa arcigna barricata ellenica. Nessuno saprà mai con certezza se i lusitani hanno sentito la pressione del match ed erano perciò un po’ sottotono oppure se tutti i meriti vanno ascritti alla Grecia che ha bloccato le fonti di gioco degli avversari. Si può con certezza solo constatare che i tre fantasisti di Scolari, Deco, Figo e Ronaldo hanno giocato al di sotto delle attese. Soprattutto Deco si è rivelato un peso per la squadra: impreciso, sconclusionato, confuso. Rui Costa, all’ultima apparizione con la selecao dopo 94 partite, ha dato un po’ di vivacità al gioco portoghese ma neanche la sua grinta si è rivelata sufficiente. Il maggior colpevole della sconfitta è stato a mio avviso Ricardo Pareira, il portiere eroe della sfida contro l’Inghilterra. Definire goffa la sua uscita su Charisteas è un attestato di generosità senza precedenti.
Il migliore di questa squadra, colui il quale (insieme a Ronaldo) si è confermato anche ieri sera il perno su cui costruire la nazionale del futuro è senza dubbio Ricardo Carvahlo.
Ma non è il momento di pensare al futuro. Per il Portogallo è il momento di piangere e applaudire, per la Grecia invece è l’ora di gioire e di invocare Zeus. Solo nei prossimi giorni Rehhagel ci dirà se resterà alla guida dei campioni d’Europa oppure no. Fossi in lui me ne andrei. Ha raggiunto il massimo. Non potrà mai ripetersi, né migliorarsi. Ha un popolo ai suoi piedi, pieno di eterna gratitudine. D’altro canto è vero anche che tutto questo amore e questa fiducia incondizionata gli sono garanzia sufficiente anche in caso di prossimi eventuali insuccessi. Veda lui.
Noi comunque, da appassionati di calcio e di favole, gli diciamo grazie. E, in barba al nome che porta, gli diamo un bel… dieci!

PORTOGALLO - GRECIA 0 - 1

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